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DIABOLICH, L'ASSASSINO CHE SFIDO' TORINO. - Seconda Parte

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La prima parte è uscita QUI

"Proprio l'imperiosità del comando "non uccidere" ci assicura che discendiamo da una serie lunghissima di generazioni di assassini i quali avevano nel sangue, come forse ancora abbiamo noi stessi, il piacere di uccidere"
Sigmund Freud.

"Ognuno di noi è il suo proprio diavolo, e noi facciamo di questo mondo il nostro inferno "
Oscar Wilde.

La notizia dell'omicidio si propaga rapidamente.
Nel suo profondo la Torino del 1958 è un luogo che ama i suoi casi di cronaca, li coccola perfino perché questo ricorda ai suoi abitanti che anche sotto l'ombra delle Alpi l'imprevisto può accadere. I giornali locali finiscono così dare ampio spazio al delitto. Certo,come spesso accade nel nostro paese, non manca il rovescio della medaglia: diversi cronisti non fanno che rimarcare l'origine meridionale della vittima.
Come se queste cose non potessero certo accadere ad un nativo.
Quasi un modo per allontanare la paura, per renderla meno quotidiana. Ma alla fine si tratta solo la peggiore delle ipocrisie.

Non troppo silenziosamente, non troppo convintamente vanno avanti anche le indagini.
Le certezze sono poche, interrogando i vicini si scopre che Mario Gilibertiè stato visto vivo risale al giorno 14 febbraio proprio quando ha ordinato i due caffè, le cui tazze verranno poi ritrovate nell'appartamento, ulteriore prova che l'uomo quasi sicuramente conoscesse bene il suo omicida.
L'arma del delitto risulta essere un trincetto da calzolaio, inoltre dall'appartamento di fortuna del Giliberti sono scomparse almeno trentamila lire, una discreta cifretta per i tempi.
Secondo la polizia però il furto rappresenta solo un chiaro tentativo di depistaggio.
Sul pavimento vengono rinvenuti frammenti di alcune foto che ritraggono il morto assieme ad un' altra persona, la faccia di questa seconda persona però risulta asportata dalle immagini.


Si scopre un dettaglio importante.
L'anno prima è stato pubblicato un romanzo che potrebbe avere collegamenti col caso, o comunque esserne stato fonte d'ispirazione.
Il romanzo in questione è un Giallo, uno di quelli popolari, di quelli che si trovano un tanto al chilo nelle edicole. Il giallo in questione s'intitola Uccidevano di Notte, lo ha scritto un autore che esibisce un nome chiaramente anglofono : un certo Bill Skyline, in realtà però questo pseudonimo nasconde l'identità dell'italianissimo scrittore Italo Fasan.
La cosa più importante  è che Uccidevano di Notte narra le gesta di un misterioso assassino, un criminale che dopo ogni delitto invia irridenti lettere alla polizia piene di riferimenti ed indizi nascosti.
Inoltre, il criminale del romanzo si firma in un modo che agli investigatori appare stranemente familiare, quel nome è  Diabolic.
Vi ricorda niente?
A molti appare chiaro che chiunque abbia ucciso Mario Giliberti, chiunque sia il fantomatico Diabolich molto probabilmente potrebbe essersi ispirato alle vicende diUccidevano di Notte.


Il nome e la figura di Diabolich cominciano così ad agitare gli incubi dei torinesi, diventa lo spauracchio con cui le madri instillano la paura nei cuori dei loro figli per costringerli a comportarsi bene.
In breve tempo l'intera città si ritrova prigioniera di una triste morsa di terrore.
Ricordate però il discorso che si faceva prima sui due lati della stessa medaglia?
Nella sede de La Stampa e di tanti altri quotidiani cominciano ad arrivare numerose lettere chiaramente false, scritte nelle più varie grafie di imitatori dell'ormai famoso Diabolich, più altre scritte da sciacalli vari.

Nel frattempo gli inquirenti non si fermano.
Vengono compiuti diversi errori, uno tra tutti, il non voler interogare una fantomatica ragazza di Lodi che potrebbe essere stata in passato fidanzata con Mario Giliberti, però le indagini comunque vanno avanti.
Convinti ormai che la prima missiva del vero Diabolich contenga numerosi indizi e diverse tracce la polizia si concentra sul passato della vittima. In particolare visto che nel portafoglio del morto sono state rinvenute alcune foto risalenti al periodo del servizio militare e visto anche che le altre immagini rinvenute strappate sul luogo del delitto, ci si sofferma in particolare su questo periodo.
Gli inquirenti battono la pista dell'omicidio passionale, un delitto nato in ambienti omosessuali e causato dalla fine di un rapporto tra amanti dello stesso sesso, o come si preferisce dire nel 1958, per la brusca conclusione di un rapporto contronatura.

Dopo poco viene fermato un sospetto.
Si tratta di Aldo Cugini un ragazzo di Bergamo, un giovane di buona famiglia con parentele ed amicizie importanti, con possibili, ma non del tutto provati, legami anche in Vaticano.
Effettivamente Cugini e Giliberti sono stati commilitoni e, in questa veste, appaiono assieme in diversi scatti.
Alcuni esperti contattati dalla Polizia e chiamati ad esaminare la lettera ed il biglietto di Diabolich si dicono sicuri che  a scriverli sia stato lo stesso Cugini, di conseguenza, il giovane bergamasco nonostante le protezioni di cui gode, finisce dietro le sbarre.
Sembrerebbe che sia tutto a posto, vero? Che il caso sia chiuso, giusto?
Nemmeno per sogno.
L'arresto di Aldo Cugini risveglia l'assassino, quello vero, dal suo  letargo, Diabolich riprende a farsi sentire con nuove missive, questa volta spedite da Vicenza. L'ignoto killer appare fin troppo desideroso di scagionare Aldo Cugini da tutti i sospetti.

"Sono arrivato. Vi do la traccia. Cento Saluti e pazienza. DIABOLICH"

Ancora una volta lo sconosciuto fornisce nel testo l'indicazione su dove cercare:
VI-CEN-ZA
Cosa peraltro confermata dal timbro di un ufficio postale della città berica.

I nuovi periti calligrafici chiamati ad esaminare il nuovo testo praticamente sconfessano i loro predecessori, non solo riconoscono l'autenticità di questa seconda lettera ma scagionano Aldo Cugini, il quale inoltre essendo ancora dietro le sbarre, non può contemporaneamente trovarsi anche a Vicenza.

Nel 1958 non esistono ancora i moderni profiler, probabilmente il significato stesso del termine è ancora completamente sconosciuto nel nostro paese, tuttavia i poliziotti più esperti, gli investigatori della solida vecchia scuola che indagano sul caso, si convincono di avere a che fare con una persona sicuramente molto intelligente ma che per tutta una serie di motivi (probabilmente anche a causa di un aspetto molto ordinario) sia abituato a passare inosservato e perfino ad essere sottovalutato, in parole povere il misterioso Diabolich, chiunque egli sia, è un uomo con un disperato bisogno di dimostrare la sua bravura ed anche di essere preso sul serio.
Questi stessi investigatori della solida vecchia scuola insistono sulla pista delle amicizie "particolari".
Finendo così per scoprire qualcosa d'altro. Qualcosa di potenzialmente importante.

Interrogando i vecchi commilitoni di Cugini e di Giliberti viene fuori che i due giovani erano spesso in compagnia di un terzo uomo, di più, pare che i tre fossero talmente inseparabili da essere soprannominati dagli altri soldati con un ben determinato appellativo. Un appellattivo che potrebbe confermare tutti i sospetti in proposito.
Le Tre Monachelle.

Quando però si tratta di approfondire e di far venire fuori il nome di questo "terzo uomo" la Polizia non insiste più di tanto e i vecchi commilitoni o non lo fanno proprio oppure sostengono di non ricordarlo.
Una seconda ondata di Terrore puro si scatena su Torino e sui suoi abitanti, parecchi di loro si aspettano che possano arrivare altri delitti e chiunque, colpevole o innocente che sia, teme di trovarsi in mezzo.
Ancora una volta sarà il fantomatico Diabolich ad avere l'ultima parola con una nuova lettera arrivata il 16 di Marzo di quello stesso anno.

"Il mio delitto non e’ un gioco da ripetersi".

Un ultimo messaggio e una ennesima e finale presa per i fondelli a tutte le persone che gli stavano dando la caccia.
Dopo di questo il Nulla, il Silenzio Assoluto, com'era arrivato, così Diabolich se ne era andato, quasi risucchiato dentro quelle stesse nebbie torinesi che avevano contribuito a crearne il mito.
A suo modo era stato un uomo di parola, questo però non basta ad assolverlo.

-EPILOGHI.

Aldo Cugini passò oltre quattro mesi e mezzo prima di essere liberato, inizialmente per mancanza di prove certe e poi con formula piena. Quando uscì dal carcere trovò ad accoglierlo una grande folla festante, tra le persone che lo aspettavano c'era la sua fidanzata storica, i due si sposarono dopo poco ed anche loro due rientrarono nell'anonimato.
Sinceramente non so dire se il loro fu un matrimonio felice oppure no.
Nel corso degli anni successivi Uccidevano di Nottevenne ristampato numerose volte, venne semplicemente aggiunta la parola Diabolic all'inizio del titolo, così tanto per farsi quel minimo di pubblicità in più.
L'eco del Delitto di Via Fontanesi rimase a lungo nella memoria collettiva dei torinesi e degli abitanti del resto d'Italia, ci volle tempo prima che le gesta di Diabolich venissero dimenticate. Qualcuno però non volle dimenticare, nel 1962 quattro anni dopo gli eventi narrati, due sorelle milanesi che volevano lanciare un nuovo personaggio a fumetti, si ricordarono dell'assassino senza volto dotato di nome esotico e crearono così la figura di un efferato criminale mascherato, la loro creazione  fece epoca.
Lo chiamarono Diabolik.
Vennero scritti altri libri, interi saggi in proposito, perfino uno dei film di Totò, il  Principe della Risata il parodico Totò Diabolicus si ispirò vagamente alle vicende di Torino.
Anche all' estero ci fu qualche strascico, soprattutto quando tra la fine degli anni 60 e l'inizio del decennio successivo, un serial killer americano conosciuto come Zodiac utilizzò molte delle pratiche già seguite dall'assassino di Torino, lettere ai giornali comprese. Ma per queste cose è sempre difficile cercare una primogenitura o provare a dimostrare un qualsivoglia legame.
Rimangono le domande ed anche un dubbio finale.
Con le tecnologie che abbiamo oggi a disposizione, quel delitto avvenuto in quel lontanissimo 1958 avrebbe verosimilmente avuto un esito diverso, magari oggi riusciremmo a scoprire l'identità dell'assassino eppure quel dubbio che sempre più forte si affaccia alla mia mente è che, all'epoca, si sarebbe potuto e dovuto investigare più a fondo e con una diversa convinzione.
Forse semplicemente quello di Via Fontanesi 20 fu uno di quei Misteri che non si volle svelare.
Così Diabolich rimase solo un nome, uno dei tanti che le nebbie delle serate invernali a volte ancora sussurrano.
E si sa, bisogna sempre diffidare della Nebbia.

FINE.

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