Avevo 11 anni, ci eravamo trasferiti da mia nonna dal Vomero nel centro di Napoli. Lei era rimasta sola . Ci eravamo trasferiti in un quartiere che non capivo, io e mia sorella avevamo cambiato scuola praticamente in corso d'opera. Mio padre aveva voluto stare vicino alla sua di madre, ma si sentiva anche in colpa per il sacrificio che aveva chiesto a tutti noi. La famiglia è sempre venuta prima di tutto. Quella sera avevo appena finito di preparare la cartella per andare a Scuola in giorno dopo. Ricordo la scossa, rivedo mio padre e mia madre che correvano verso di noi bambini urlando che stava accadendo qualcosa. Ci abbracciammo tutti in un angolo, i nostri genitori, io e le mie due sorelle. Sembrò che non dovesse finire mai .Dopo corremmo in strada, ricordo la gente che scappava, le crepe nei muri nei palazzi, le persone spaventate. Capitò di tutto in quei momenti: atti di eroismo, ragazzi che si davano da fare per aiutare chi aveva bisogno, ma rivvedo anche quel signore che in mezzo a tutto quanto pensava solo a portarsi per le scale il suo apparecchio televisivo.
Un apparecchio televisivo mentre i muri crollavano, vi rendete conto?
Passammo la notte in macchina, mia nonna anziana, mia madre incinta. A Piazza Cavour si era creata una megalopoli di macchine, una città nella città, tutti a chiedere al vicino se aveva notizie, tutti a cercare di sintonizzarsi per le poche radio che funzionavano. Quella notte non vedemmo un soccorritore, ma nemmeno un membro delle forze dell'ordine, sinceramente non ne vedemmo nessuno nemmeno nei primi giorni. Mia nonna sarebbe morta pochi giorni dopo, mia madre avrebbe partorito mio fratello Gianluigi da lì a poco. Napoli sembrò morire quella notte. In Irpinia andò anche peggio.
Adesso basta, mi fermo, anche i ricordi possono uccidere.
Anche a ditanza di decenni.